pensiero in migrazione

PENSIEROinMIGRAZIONE propone punti di vista, argomenti, approfondimenti, appunti sulle trasformazioni sociali e umane suscitate dai processi migratori, proposte per combattere il razzismo e la xenofobia con gli strumenti della rivoluzione nonviolenta e dello scambio interculturale

16.8.06

IMMIGRATI ALLA SCOPERTA DELL’EUROPA. ASSEDIO O SALVEZZA?

una polemica necessaria...

Qualche settimana fa mi sono imbattuto, sulla prima pagina del Corriere della Sera, nell’editoriale di Alberto Ronchey dal titolo “L’Europa assediata”.
Una delle penne più autorevoli del giornalismo italiano ha cucinato un minestrone indigesto con tutti gli ingredienti che i media considerano abbastanza piccanti per richiamare l’attenzione del lettore: terrorismo islamico esterno, conflitti etnici interni (senza specificare quali), invasioni e così via...
Secondo Ronchey il vecchio continente avrebbe subito immigrazioni incontrollate e sregolate. Qui il cronista solitamente documentato, per mentire senza apparire un bugiardo deve confondere un po’ le carte. Così, cita a sproposito lo storico Braudel, per dare una patina di accettabilità ai discorsi sullo “scontro di civiltà”, poi, porta a suffragio delle sue tesi eurocentriche e islamofobe una frase, estrapolata dal contesto originario, pronunciata da Gheddafi e punta il dito verso il pericoloso progetto dell’“islam ideologico” di sfidare la supremazia occidentale. Il tutto per giustificare il “turbamento” delle società europee. Per corroborare alla bell’e meglio le sue tesi, il nostro stigmatizza, senza portare un’argomentazione o un dato, il carattere “non proprio e non sempre pacifico delle migrazioni”.
Quindi, lamenta la presunta “vulnerabilità” dell’Europa di fronte alla crescente mobilità intercontinentale di massa. Poi, il giornalista se la prende con l’“intensa prolificità” di africani e mediorientali… che “possono travolgere i confini e sconvolgere costumi e regole della società degli “infedeli’”. Versa ancora qualche lacrima di coccodrillo per il fallimento sia del modello francese sia di quello britannico e, per arrivare all’Italia, non trova di meglio che accodarsi alle più superficiali e retrive “analisi” del fenomeno calcando la mano sugli “sbarchi di clandestini” e stigmatizzando l’inadeguatezza dei controlli e dei centri di detenzione - ipocritamente ribattezzati “campi di raccolta” - e l’insufficiente numero di espulsioni e deportazioni.
Dopo questo piagnisteo, ovviamente, non avanza alcuna proposta ma solo un appello a “evitare le semplificazioni dell’ottimismo provvidenzialista e del pessimismo storico fino al catastrofismo”.
Ronchey si accontenta di disinformare, facendo finta di non sapere, per esempio, che un’istituzione super partes come il Dipartimento Affari ed economici dell’ONU sostiene che “la popolazione italiana in declino rischia di arrivare a soli 41 milioni di abitanti nel 2050. Volendo mantenere costante il livello demografico attuale l’Italia avrebbe bisogno di un flusso migratorio di circa 240 mila individui all’anno. La popolazione in età lavorativa passerà da 39 a 22 milioni. Per mantenere l’attuale livello l’Italia avrebbe bisogno per i prossimi 50 anni di un flusso di 350 mila immigrati all’anno. Per evitare il crollo del sistema pensionistico sarebbero necessari 2 milioni e 200 mila immigrati all’anno”.
Grazie al cielo non tutti gli intellettuali italiani agiscono come Ronchey.
Ve ne sono stati e ve ne sono ancora alcuni che hanno lavorato e operano tuttora in direzione diametralmente opposta. Ne cito un paio per la chiarezza con cui si sono espressi.
Per esempio, Alex Langer, prima della sua tragica fine, scrisse: “gli immigrati che rappresentano la diretta sporgenza ed ingerenza del Sud (e dell’Est) nel nostro mondo, sono oggi anche il primo banco di prova di tutti i nostri discorsi sulla cooperazione equa e solidale e sul risarcimento, e possono diventare un ponte tra le nostre società e le loro comunità di provenienza”. Più recentemente, Armando Gnisci, professore di letterature comparate e curatore della collana “Kumacreola - scritture migranti”, nel suo ottimo pamphlet Via della decolonizzazione europea, ha scritto: “noi italiani abbiamo la straordinaria occasione (…) di rinnovarci mescolandoci con chi viene a salvarci”. Più avanti approfondisce: “Ci è richiesta una virtù completamente nuova: l’ospitalità della comunanza (che) consiste nell’accogliere l’altro come qualcuno che ritorna, piuttosto che come un imprevisto inopportuno intruso sbagliato e alieno. Qualcuno che ritorna, perché viene da noi a restituirci la visita, ma senza spirito di vendetta. Non viene per sottometterci e convertirci, ma per sostenerci, per far parte di noi, per farci diventare altri, come si diventa un po’ altri quando balliamo il rap o il samba o il tango”.

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