pensiero in migrazione

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12.4.06

MIO NONNO AVEVA 7 FIGLI (di Rasheed)

Mio nonno aveva 7 figli, 2 bianchi e 5 scuri come me.
Venne in Sudafrica dall’India in cerca di una vita migliore.
Dapprima venne solo. Poi, da ogni viaggio in patria tornava portando uno dei figli con sé, finché non furono qui tutti e due i maschi. Non si preoccupò mai di portare qui le 3 figlie, sarebbe poi stato necessario occuparsene come si deve e cercare loro un buon marito. Lasciò tutti questi grattacapi alla moglie, in India.
La nonna non volle mai lasciare il suo villaggio per venire in Sudafrica, ma lasciò libero il nonno di prendersi un’altra moglie qui, se lo desiderava.
E lui così fece. Si prese in moglie una vedova che aveva già due figli.
Questa nonna era bianca, ebrea.
Ecco com’è che mio nonno si ritrovò con 7 figli, di cui i due maggiori bianchi e gli altri 5 “non bianchi”.
Potè prendersi un’altra moglie perché era musulmano, come me, e la nostra religione ci permette di avere più mogli, anche se l’uso è quasi scomparso, soprattutto qui.
Ma la mia famiglia non è stata sempre musulmana.
Erano Hindu. Anche il cognome era diverso, non è quello che portiamo adesso. Fu il nonno di mio nonno a convertirsi, lui e tutta la sua famiglia. Ma subì le persecuzioni degli Hindu, che uccisero tutti i membri della famiglia.
Solo uno dei figli più giovani riuscì a scampare alle persecuzioni, e cambiò il suo cognome in modo da non essere immediatamente identificato. Essere riconosciuto avrebbe voluto dire essere ucciso. Quest’uomo era mio nonno, e il cognome che lui scelse è quello che noi portiamo ancora oggi. Questo succedeva quando India e Pakistan erano un unico Paese.
Ma torniamo a mio nonno. Poté prendere un’altra moglie perché era musulmano, e poté prendersi una moglie bianca perché l’apartheid non c’era ancora a quel tempo.
Così mio padre crebbe con due fratelli bianchi, e l’educazione che fu loro data impediva di fare differenze o di considerarsi fratellastri. Erano tutti uguali.

Mio padre e i suoi fratelli crebbero e presero moglie.
Mio padre prese moglie in India e la portò qui.
Quando mia madre si sposò e lasciò l’India aveva 14 anni, o forse 13; parlava correntemente l’hindi e altre quattro lingue, ma la vita qui all’inizio qui per lei fu difficile.
Dapprima i miei genitori vissero in Wynberg, nella casa dei nonni. Lì mia madre poteva parlare solo con mio padre, con il suo fratello nato in India e con il nonno. Non poteva comunicare con la nonna o con gli altri parenti, perché non parlava né inglese né afrikaans.
Poi pian piano imparò, l’afrikaans da noi bambini perché era la lingua in cui studiavamo, e poi anche l’inglese.
Ad un certo punto la famiglia dovette trasferirsi, perché alcune zone vennero dichiarate “per bianchi”. Vennero espropriati della casa di Wynberg; il governo disse che era necessario abbattere delle case per farci passare l’autostrada, la M3, ma l’unica casa ad essere abbattuta fu quella dei miei genitori, tutte le altre rimasero. Quello era l’apartheid.
I miei genitori si trasferirono in Claremont e poi, quando io avevo 5 anni, in Rylands, la township abitata dagli Indiani.
Di quel tempo ricordo che andammo a fare visita allo zio, il fratello maggiore di mio padre, che viveva in Woodstock.
Woodstock era una zona per bianchi e non era possibile per un non bianco andarci liberamente. Bisognava avere il lasciapassare, dimostrare che si lavorava per qualche bianco in zona, altrimenti erano guai. Mio padre prese me e i miei fratelli e ci portò lì in visita allo zio. Ovviamente non avevamo il lasciapassare, e sarebbe stato più semplice se lo zio fosse venuto a trovare noi in Rylands, visto che i bianchi potevano andare dove volevano. Ma lo zio era più grande di mio padre e, secondo le nostre consuetudini, è il fratello più giovane che deve andare a trovare il più anziano, in segno di rispetto.
Mio padre arrivò davanti alla porta di casa dello zio, circondato da noi bambini. Bussò e bussò, ma nessuno venne ad aprire. Io avevo 5 anni a quel tempo, ma lo ricordo perfettamente.
Noi sapevamo benissimo che in casa c’era qualcuno, ma nessuno venne ad aprire.
Poi mi ricordo di quando il mio fratello maggiore, Mohammed, superò l’esame di maturità così brillantemente da guadagnarsi il diritto di andare all’università… S’iscrisse all’UCT, alla facoltà di architettura. Era uno dei pochissimi non bianchi lì.
UCT era un’istituzione per bianchi, ma lui era stato così brillante che aveva il grande privilegio di andarci. I miei genitori erano così orgogliosi, non si capacitavano. A volte di sera andavano fino a UCT con l’auto e si mettevano a guardare gli edifici, il panorama, congratulandosi a vicenda perché il loro figlio maggiore poteva studiare lì. Per loro era come un sogno.
E mio fratello cosa fece? Si fece bocciare, non superò gli esami del primo anno!
Mio padre disse che non avrebbe pagato le spese universitarie per il secondo anno e lui dovette lasciare l’università. Si mise a vendere enciclopedie porta a porta. Riuscì a mettere via dei soldi e più in là si iscrisse di nuovo all’università, questa volta alla facoltà di storia.
Oggi Mohammed è ancora a UCT, al dipartimento di storia.
Adesso la insegna.

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