pensiero in migrazione

PENSIEROinMIGRAZIONE propone punti di vista, argomenti, approfondimenti, appunti sulle trasformazioni sociali e umane suscitate dai processi migratori, proposte per combattere il razzismo e la xenofobia con gli strumenti della rivoluzione nonviolenta e dello scambio interculturale

31.8.06

LETTERA APERTA A UMBERTO ECO

Egregio Professor Umberto Eco,
Le scrivo riguardo alla sua rubrica “La bustina di Minerva” apparsa su L’Espresso del 21 agosto 2006.
Nell’articolo, tra l’altro, Lei si chiede: “Tra le tante associazioni per l’assistenza agli immigrati non ce n’e’ qualcuna che si premuri di insegnargli che se vogliono essere rispettati non devono dare del tu a tutti?”. Poi, si risponde da solo: “Evidentemente non ce n’e’”.
Io, rispettosamente, Le segnalo: evidentemente, Lei non conosce le scuole di italiano per stranieri organizzate e condotte da tanti volontari italiani. Io conosco bene quella promossa dalla mia associazione (“L’italiano in piazza”, scuola gratuita promossa dall’ass.ne Todo Cambia). Conosco anchemolte altre scuole simili e sono certo che gli insegnanti sudano sette camicie per spiegare la differenza tra le forme di cortesia e le espressioni amichevoli, confidenziali od offensive. Ma si preoccupano di piu’ di insegnare a decifrare il linguaggio oscuro di un contratto di lavoro, di un articolo di giornale o di un’inserzione per la ricerca di personale. E’ una questione di priorita’…
Infine, le suggerisco un esperimento: provi a intrufolarsi in una coda di immigrati regolari che devono rinnovare il permesso di soggiorno in Questura. Forse, vedra’ chi deve imparare a dare del lei e del tu…
D’altra parte, proprio ieri, ho ascoltato le lamentele di un colto “immigrato comunitario” (professore di lingua inglese, proveniente da New Castle): si chiedeva perche’ mai noi italiani differenziamo per genere maschile/femminile gli oggetti (in inglese a tutti gli oggetti e’ attribuita la forma neutra). Che dovevo fare? “buttarmi a destra”, definendolo “provocatore al soldo della perfida Albione”?
Per concludere: Professor Eco, la situazione di disinformazione, induzione di paure ingiustificate, allarmismi etc. che caratterizza l’approccio mediatico ai temi dell’immigrazione richiede, per contrappeso, uno sforzo generale di equilibrio, dialogo e approfondimento.
In altre parole: c’e’ bisogno anche della sua penna, insieme ai geniali pennarelli di Altan e all’intelligenza di tutti coloro che intendono affrontare costruttivamente le trasformazioni generate dall’immigrazione nella societa’ italiana e in tutti noi, nativi e immigrati. Ovviamente senza perdere l’ironia, l’arguzia, il senso critico…. “armi di costruzione di massa” delle quali, stimato Professore, Lei e’ certamente ben fornito.

Cordialmente

Paolo Buffoni
presidente dell’Ass.ne interculturale Todo Cambia di Milano (www.todocambia.org)

16.8.06

IMMIGRATI ALLA SCOPERTA DELL’EUROPA. ASSEDIO O SALVEZZA?

una polemica necessaria...

Qualche settimana fa mi sono imbattuto, sulla prima pagina del Corriere della Sera, nell’editoriale di Alberto Ronchey dal titolo “L’Europa assediata”.
Una delle penne più autorevoli del giornalismo italiano ha cucinato un minestrone indigesto con tutti gli ingredienti che i media considerano abbastanza piccanti per richiamare l’attenzione del lettore: terrorismo islamico esterno, conflitti etnici interni (senza specificare quali), invasioni e così via...
Secondo Ronchey il vecchio continente avrebbe subito immigrazioni incontrollate e sregolate. Qui il cronista solitamente documentato, per mentire senza apparire un bugiardo deve confondere un po’ le carte. Così, cita a sproposito lo storico Braudel, per dare una patina di accettabilità ai discorsi sullo “scontro di civiltà”, poi, porta a suffragio delle sue tesi eurocentriche e islamofobe una frase, estrapolata dal contesto originario, pronunciata da Gheddafi e punta il dito verso il pericoloso progetto dell’“islam ideologico” di sfidare la supremazia occidentale. Il tutto per giustificare il “turbamento” delle società europee. Per corroborare alla bell’e meglio le sue tesi, il nostro stigmatizza, senza portare un’argomentazione o un dato, il carattere “non proprio e non sempre pacifico delle migrazioni”.
Quindi, lamenta la presunta “vulnerabilità” dell’Europa di fronte alla crescente mobilità intercontinentale di massa. Poi, il giornalista se la prende con l’“intensa prolificità” di africani e mediorientali… che “possono travolgere i confini e sconvolgere costumi e regole della società degli “infedeli’”. Versa ancora qualche lacrima di coccodrillo per il fallimento sia del modello francese sia di quello britannico e, per arrivare all’Italia, non trova di meglio che accodarsi alle più superficiali e retrive “analisi” del fenomeno calcando la mano sugli “sbarchi di clandestini” e stigmatizzando l’inadeguatezza dei controlli e dei centri di detenzione - ipocritamente ribattezzati “campi di raccolta” - e l’insufficiente numero di espulsioni e deportazioni.
Dopo questo piagnisteo, ovviamente, non avanza alcuna proposta ma solo un appello a “evitare le semplificazioni dell’ottimismo provvidenzialista e del pessimismo storico fino al catastrofismo”.
Ronchey si accontenta di disinformare, facendo finta di non sapere, per esempio, che un’istituzione super partes come il Dipartimento Affari ed economici dell’ONU sostiene che “la popolazione italiana in declino rischia di arrivare a soli 41 milioni di abitanti nel 2050. Volendo mantenere costante il livello demografico attuale l’Italia avrebbe bisogno di un flusso migratorio di circa 240 mila individui all’anno. La popolazione in età lavorativa passerà da 39 a 22 milioni. Per mantenere l’attuale livello l’Italia avrebbe bisogno per i prossimi 50 anni di un flusso di 350 mila immigrati all’anno. Per evitare il crollo del sistema pensionistico sarebbero necessari 2 milioni e 200 mila immigrati all’anno”.
Grazie al cielo non tutti gli intellettuali italiani agiscono come Ronchey.
Ve ne sono stati e ve ne sono ancora alcuni che hanno lavorato e operano tuttora in direzione diametralmente opposta. Ne cito un paio per la chiarezza con cui si sono espressi.
Per esempio, Alex Langer, prima della sua tragica fine, scrisse: “gli immigrati che rappresentano la diretta sporgenza ed ingerenza del Sud (e dell’Est) nel nostro mondo, sono oggi anche il primo banco di prova di tutti i nostri discorsi sulla cooperazione equa e solidale e sul risarcimento, e possono diventare un ponte tra le nostre società e le loro comunità di provenienza”. Più recentemente, Armando Gnisci, professore di letterature comparate e curatore della collana “Kumacreola - scritture migranti”, nel suo ottimo pamphlet Via della decolonizzazione europea, ha scritto: “noi italiani abbiamo la straordinaria occasione (…) di rinnovarci mescolandoci con chi viene a salvarci”. Più avanti approfondisce: “Ci è richiesta una virtù completamente nuova: l’ospitalità della comunanza (che) consiste nell’accogliere l’altro come qualcuno che ritorna, piuttosto che come un imprevisto inopportuno intruso sbagliato e alieno. Qualcuno che ritorna, perché viene da noi a restituirci la visita, ma senza spirito di vendetta. Non viene per sottometterci e convertirci, ma per sostenerci, per far parte di noi, per farci diventare altri, come si diventa un po’ altri quando balliamo il rap o il samba o il tango”.